Zeitschrift Rezensionen

Rezensiert von: Massimo Meccarelli

Dolores Freda, La dottrina dei Lawyers. Le raccolte di giurisprudenza nell'Inghilterra dei Tudor.

  
Il saggio che qui si commenta è dedicato ad un tema inconsueto per la storiografia continentale: lo studio del Law reporting in età Tudor. Il volume in realtà non intende solo illustrare l’arte di riportare i casi giudiziari discussi presso le corti londinesi di Westmister; esso si propone con ciò di mettere in rilievo la funzione costitutiva della dottrina nell’esperienza giuridica inglese, evidenziando come quest’ultima solo parzialmente risulti riducibile nel paradigma concettuale del case law. L’oggetto della trattazione, dunque, è più ampiamente quello dei regimi del diritto giurisprudenziale e dei rapporti tra dottrina e prassi.
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L’articolazione del libro si presenta lineare. Il primo capitolo è dedicato ad una ricognizione storiografica sul tema del law reporting in Europa; con il capitolo secondo si entra nel tema attraverso una illustrazione delle tipologie e dei caratteri delle raccolte di giurisprudenza prodotte nelle Corti londinesi in età Tudor. Il volume si concentra poi sul periodo compreso tra gli anni Ottanta del Quattrocento e il 1540, in particolare sui Named Reports di John Caryll, John Port e John Spelman, analizzando la natura di tali raccolte e la loro funzione, sia rispetto alle dinamiche processuali presso le Corti di giustizia, sia rispetto alle pratiche metodologiche di formazione dei giuristi negli Inns of Court. Esaurita questa parte più descrittiva il libro va poi a concentrarsi sul rapporto tra raccolte di giurisprudenza e sviluppo della dottrina, ponendo in evidenza il rilievo della commen erudyction nel lavoro dei lawyers. Vengono dunque individuati tempi e ragioni dell’emersione del principio del precedente giudiziario per poi tornare, con un capitolo finale, su una ponderazione del peso assunto dalla commen opinion nello sviluppo del diritto giurisprudenziale inglese. Il tutto viene proposto tenendo presenti i necessari profili di contestualizzazione rispetto alla dimensione giustizia; il libro offre anche un utile quadro dei caratteri dell’ordinamento giudiziario, della procedura, della organizzazione delle carriere, degli strumenti di formazione del giurista in epoca Tudor.
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La trattazione contempla dunque un complesso di questioni, fornendo materiali e spunti originali per una riflessione su alcuni temi chiave per la ricerca storico-giuridica sull’età moderna.
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Uno è senz’altro quello relativo al rapporto tra le diverse tradizioni giuridiche e agli schemi precomprensivi con cui lo consideriamo. Sottoposta ad una riflessione critica è la cornice ermeneutica della “dicotomia” common law/civil law, in base alla quale la categoria del common law starebbe ad indicare un diritto giurisprudenziale con un fondamento casistico e quella del civil law un diritto legislativo con una forte dimensione dottrinale.
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Il volume intende emanciparsi da questo schema ricostruttivo; in una prospettiva di storia giuridica comparata, che accanto alle specificità delle diverse aree geografiche è capace di apprezzare anche i tratti unitari delle esperienze giuridiche, il profilo della giurisprudenzialità del diritto appare costituire un possibile terreno di riscoperta di elementi di trasversalità e di prossimità.
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Il Law reporting, pur con le sue peculiarità, viene collocato in tal modo nel contesto di un fenomeno europeo più generale, quello le raccolte di giurisprudenza, di cui sono delle espressione tanto i Reports inglesi nelle loro diverse forme quanto gli Arrets des Parlements francesi o le Decisiones degli altri grandi tribunali europei continentali (sulla scia della più recente storiografia il volume suggerische che la stessa esperienza continentale possa essere ripensata rispetto a certe standardizzazioni interpretative).
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Il risultato di tale posizionamento è rilevante poiché le diverse tradizioni osservate sul terreno del fenomeno comune delle raccolte di giurisprudenza appaiono sotto una luce diversa: nella dimensione del common law assume un peso il fattore dottrinale; a sua volta in quella del civil law l’interpretatio doctorum non agisce come unico formante.
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In ultima analisi è la concezione meramente giudiziale del diritto giurisprudenziale ad essere messa in discussione. Ma non solo: proprio i risultati di ricerche come questa inducono a ripensare la convenzionale concezione formalistica della scienza giuridica, in base alla quale essa sarebbe da intendersi come mero luogo di elaborazione teorica, orientato a ricavare categorie generali da una piattaforma predefinita (la legge, la fonte romanistica, la dogmatica stessa) e già staccata dal piano fenomenologico. La dottrina che appare sostenere le dinamiche giurisprudenziali a cui si applica l’attività di law reporting, invece, sembra qualificarsi nel compito di stabilire una relazione tra il diritto vivente e un complesso di categorie generali relativamente stabili, che servono a descriverlo; essa va a produrre un sapere condiviso fortemente intrecciato con la dimensione della prassi e a partire dal quale si costruisce il momento della decisione sul diritto da applicare. Questa dottrina in sostanza individua degli elementi di invarianza nella fenomenologia del diritto, conferendo al momento giudiziale un valore proattivo e trasformandone i risultati in diritto giurisprudenziale.
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Torniamo all’intinerario del volume. Nel libro il problema centrale del rapporto tra giurisprudenza giudicante ed elaborazione dottrinale viene indagato anzitutto a partire dalla stretta correlazione tra law reporting ed educazione giuridica nelle Inns of Courts (quello dei reports è infatti anzitutto uno strumento di origine privata, pensato in funzione pratico-didascalica). Inoltre viene considerata l’inerenza di questa attività di raccolta della giurisprudenza alle dinamiche giudiziali. Il loro esame evidenzia un elevata presenza di opinions espresse dai giuristi durante la discussione dei casi; i reporters annotano con scrupolo il parere espresso dagli operatori giuridici che intervengono nel dibattito. Il momento percepito come topico dell’iter processuale non è la decisione ma la dialettica che ne sta alla base.
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Il dato evidenza il tipo di circuitazione che attribuisce rilevanza alle opinions: esse nascono nel processo, perché vengono formulate durante lo svolgimento della causa, ma è il fatto di venir registrate dai reporters (e di essere destinate ai learning exercises) che le rende fonti (dottrinali).
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E’ considerando tale circolarità che viene dunque preso in esame il funzionamento del diritto giurisprudenziale; il risultato l’abbiamo già anticipato: tale analisi mostra che in età Tudor non è il principio del precedente a regolare i regimi del diritto giurisprudenziale. Il libro individua l’emersione di una tale dinamica giudiziale solo a partire dalla seconda metà del XVI secolo, in connessione con la diffusione della stampa e una velocizzazione della circolazione dei reports. Tra XV e XVI secolo invece la citazione dei casi nelle raccolte risponde soprattutto allo scopo di garantire la continuità e la coerenza del common law (tramite il consensus della legal profession) e senza che operi il dispositivo della binding force del precedente, la cui messa a punto teorica sarebbe da collocare addirittura nel XIX secolo.
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Lo spoglio delle fonti mostra come la citazione dei precedenti sia spesso generica senza indicazioni utili a stabilire l’identificazione del precedent (“così è stato spesso deciso”, citazioni ‘a memoria’, ecc.). Certo sono rinvenibili anche forme di citazione puntuali e circostanziate ma «l’indicazione esatta di un caso già deciso non ha maggiore peso di un più vago riferimento ad esso» (p. 142). La funzione del precedent è dunque di tipo esplicativo e argomentativo. Esso viene rispettato dai giuristi nella misura in cui appaia riconducibile al common course; ciò che rileva è il principio della analogy piuttosto che quello dell’authority.
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Del resto tale atteggiamento viene rinvenuto dal libro anche nel rapporto tra  commen opinion estatute law. Spesso i giuristi fanno ricorso alla citazione degli statutes nel corso delle udienze e i reports ne danno conto;  una «centralità degli statutes» (p. 202) è rilevabile anche nelle esercitazioni (readings) presso gli Inns of Courts; infine sono molto diffusi gli statute books (raccolte private di atti legislativi). Anche in questo caso però lavalenza riconoscibile alla citazione della statute law è di tipo ‘confermativo’ e dichiarativo dei principi della common law. Ciò mette ulteriormente in evidenza il ruolo fondamentale rivestito dall’opinion dei giuristi nella formazione del diritto giurisprudenziale.
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Una conferma poi viene opportunamente cercata sui caratteri della procedura. L’indagine qui condotta mostra il rilievo della piattaforma processuale rispetto alle dinamiche costitutive dell’ordinamento. Nel processo inglese, fondato sulla oralità e nel quale il giudice svolge una funzione di carattere dichiarativo, è compito dei lawyers, attraverso il confronto dialettico (il così detto tentative pleading), definire l’issue della causa; ciò avviene in udienza, prima dell’accertamento dei fatti da parte della giuria. Il dato significativo è che nei reports di questi processi, delle volte, si trascura di annotare l’esito della decisione, mentre si è puntuali nel ricostruire la dialettica delle opinioni espresse dagli operatori coinvolti. Ciò che si produce è una raccolta di «points of pleading, opinioni e annotazioni di vario genere» utile a «chiarire  e meglio comprendere i principi del common law, non certo una raccolta di decisioni e authorities precedenti alle quali uniformarsi» [p. 162].
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Le cose cambiano, si evidenza nel volume, quando alla fine del XVI secolo si produce un mutamento di forma processuale da orale a scritta (paper pleading); ciò costituisce una premessa sistematica per l’emersione della dinamica del precedente. La nuova procedura appare caratterizzata dalla definizione dell’issue al di fuori del tribunale, attraverso uno scambio di documenti cartacei.
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Essa ha posto l’esigenza che da parte dei giudici si procedesse alla discussione delle questioni di diritto non prima, ma dopo l’accertamento dei fatti da parte della giuria. Come è evidente qui il momento della decisione, che segue al verdetto della giuria, assume tutt’altra rilevanza e ciò anche dal punto di vista dei reporters il cui obiettivo, lo ricordiamo, era quello di approntare un «manuale pratico» [p. 161] per l’attività forense. L’attenzione del lawyer si sposta infatti dalla discussione alla decisione favorendo il principio dell’authority rispetto a quello dell’analogy.
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Anche in questo caso però, si avverte nel libro, il nuovo principio ordinatore della binding force del precedente, pur segnalando un cambiamento di paradigma, non diventa l’unico a cui ricorrono i giuristi. In caso di conflitto tra precedente e common opinion prevale ancora la seconda; la questione ancora per lungo tempo sembra restare quella  della costruzione di un consenso ( quanto più ampio possibile) tra gli appartenenti alla legal profession.
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Il volume si ripropone anche di dare conto delle ragioni del superamento dell’originaria impostazione ancorata alle dinamiche dottrinali del consensus; per questo si sposta a considerare il fenomeno della diffusione della stampa. Qui ci si sofferma su profili specifici relativi alla diffusione del nuovo mezzo di comunicazione, come la legislazione in materia o più in generale il modello economico-giuridico di riferimento (patents, monopoli, company of stationers), o ancora il mercato editoriale dei testi giuridici. E’ una parentesi che viene poi ricondotta al percorso argomentativo relativo ai caratteri delle raccolte di giurisprudenza e ai regimi del diritto giurisprudenziale. L’idea che ne emerge è che la standardizzazione dei reports a stampa avrebbe consentito un più agevole reperimento e una più esatta utilizzazione dei precedenti decisi, oltre ad averne determinato la più ampia diffusione; ciò avrebbe favorito l’affermazione della regola dello stare decisis.
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Qui però la conclusione appare solo parzialmente persuasiva. In realtà una dinamica simile a quella illustrata per l’Inghilterra può essere rinvenuta anche nel continente, senza che però qui si sia prodotto l’esito di una emersione del principio del precedente, nei termini con cui si afferma oltre-Manica. Probabilmente la diffusione della stampa è solo una delle cause per la produzione delle condizioni idonee all’emersione della dinamica del case law.
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Un terreno di riscontro utile a questo proposito avrebbe potuto essere quello costituzionale; non va infatti dimenticato che il common law non è solo un modo di produrre e ordinare il diritto ma è anche un modo per dare una costituzione fondamentale ad un ordinamento socio-politico fondato sul pluralismo. Del resto, proprio per gli aspetti che questa ricerca mette in evidenza, l’emersione del principio del precedente vincolante sembra poter essere considerata nel quadro del medesimo processo di modernizzazione del diritto, che in Europa continentale ha condotto alla formalizzazione del principio di legalità. Principio del precedente e principio di legalità sarebbero entrambi una risposta a quella necessità moderna di semplificazione e razionalizzazione e irrigidimento dell’ordinamento giuridico, ma anche di riorganizzazione delle relazioni tra i poteri interni allo Stato.
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Nel suo complesso questo volume, per gli originali risultati che presenta, come anche per le ipotesi di indagine che induce a formulare, conferma tutto il rilievo del tema del diritto giurisprudenziale per una comprensione dell’esperienza giuridica dell’età moderna.  
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Rezension vom 23. Februar 2011
© 2011 fhi
ISSN: 1860-5605
Erstveröffentlichung
23. Februar 2011

  • Zitiervorschlag Rezensiert von: Massimo Meccarelli, Dolores Freda, La dottrina dei Lawyers. Le raccolte di giurisprudenza nell'Inghilterra dei Tudor. (23. Februar 2011), in forum historiae iuris, https://forhistiur.net/2011-02-meccarelli/